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giovedì 25 febbraio 2010

Nel fango affonda lo Stivale dei maiali

Ieri le notizie che occupavano lo spazio principale sui quotidiani online erano le parole di Montezemolo: “La lotta alla corruzione è un’impresa titanica che occuperà quanto meno lo spazio di una generazione” e i risultati del sondaggio di Repubblica sui falsi invalidi che si mangiano un miliardo di euro all’anno: ciechi che parcheggiano o che leggono il giornale, sindaci che promettono pensioni di invalidità in cambio di voti e via dicendo. Se poi aggiungiamo i dati della Corte dei Conti che ha stimato il danno della corruzione in 60 miliardi di euro all’anno e quello dell’evasione fiscale in 100 miliardi di euro, l’immagine del paese è abbastanza nitida.

Per quanto i nostri politici mangino e si ingrassino con i soldi pubblici dello stato, certamente la colpa del malcostume italiano non è da addossare tutta a loro. I numeri parlano chiaro ed il significato non è poi tanto nascosto: il genio italico ha sviluppato una particolare sensibilità per tutto ciò che profuma di illegalità. La regola alla base del rapporto tra stato e cittadino sembra essersi trasformata in un quesito che il cittadino rivolge allo stato: “come faccio a fotterti?”. Le risposte hanno una forte originalità, le migliori portano come risultato i più grossi scandali. Ultimo in ordine cronologico “la colossale truffa allo stato” nella quale sono coinvolti Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb e il senatore Nicola di Girolamo (PdL): per entrambi è stato emesso l’ordine di arresto.


Vignetta a cura di http://vadelfio.splinder.com/
Detto questo, c’è da sottolineare il fatto che in Italia esistono anche persone integerrime, che dedicano la propria vita alla legalità e lavorano affinché questo paese possa diventare migliore dal punto di vista civile e politico. Il fatto è che queste poche persone sono sopraffatte, sia nel numero che nella forza, da chi preferisce sguazzare nel lerciume della corruzione.

Una classe politica pulita, civile e non corrotta sarebbe un buon inizio nonostante c’è chi sostenga che per far politica ci si deve sporcare la mani. Sfortunatamente però i politici di oggi, dopo essersi sporcati le mani e aver provato un particolare piacere, non hanno problemi a rotolarsi nel fango. Quanta somiglianza con i maiali! Quindi se da un lato dobbiamo continuare a pretendere una classe politica migliore di quella attuale (la scienza sta indaganzo se esista qualcosa peggiore), dall’altro dobbiamo capire che, visto il bacino dal quale vengono attinti i politici, la speranza di un miglioramento si riduce ad un lumicino.

Bisogna essere coscienti del fatto che la classe politica attuale rappresenta la maggioranza degli italiani, che non mangiano tanto quanto quelli che governano ma che lo farebbero se fossero al loro posto. Ragionando in questo modo bisogna chiedersi se la democrazia sia la forma di governo più appropriata per un paese fatto di cittadini irresponsabili e parassiti che vivono rubando il futuro a quei pochi che sono la parte migliore ma purtroppo nascosta. La democrazia, affinché possa funzionare, richiede un popolo civile, informato, dedito alla legalità e con un profondo senso dello stato: qualità che sembrano sconosciute a moltissimi italiani se si guarda ai fatti anzichè alla propaganda.

La soluzione al problema è un processo di ri-civilizzazione che richiede tempo e il cui risultato probabilmente nemmeno lo vedremo ma senza di questo lo Stivale dei maiali non potrà che continuare ad affondare nel fango senza la speranza di uscirne più ma con la certezza di morire affogato.

fonte wilditaly.net

La casta che protegge se stessa

Il caso del senatore Nicola Di Girolamo, accusato di essere coinvolto nello scandalo Fastweb, di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illeciti, nonché di violazione della legge elettorale con l'aggravante mafiosa, ha riportato in luce il vecchio problema della casta che protegge se stessa.
Già nel giugno 2008, infatti, un giudice aveva chiesto l'autorizzazione al Senato per mettere Di Girolamo agli arresti domiciliari. Autorizzazione prontamente respinta dal Senato. A quel tempo l'accusa era "solo" di violazione della legge elettorale: il senatore è stato eletto nella circoscrizione estero pur non vivendo all'estero, grazie alla falsificazione di documenti e alla collaborazione di un funzionario "amico" nel Consolato di Bruxelles.
La giunta del Senato che presiedette l'analisi del caso decise quasi all'unanimità di respingere la richiesta del giudice: solo un senatore dell'IDV votò a favore. Secondo la giunta, infatti, il reato non sarebbe stato abbastanza grave da giustificare il venir meno dell'integrità dell'organo parlamentare:

"Qualora la Giunta ritenesse di escludere la sussistenza di qualsiasi intento persecutorio in danno del parlamentare, l’ulteriore parametro di valutazione è rappresentato dall’esigenza di garantire l’integrità dell’organo parlamentare, esigenza che costituisce il fine prevalente della garanzia costituzionale contemplata dall’articolo 68 della Costituzione. Tale finalità, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale di Camera e di Senato, può essere pretermessa solo in presenza di casi particolarmente gravi, in cui la natura del reato, la pericolosità del soggetto, l’indispensabilità assoluta della privazione della libertà personale del parlamentare ai fini del corretto progredire del procedimento penale, siano tali da soverchiare l’altra esigenza (Atti Senato, XIII Leg., Doc. IV, n. 4-A). Pertanto, solo la straordinaria gravità del reato e la eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari potrebbero rendere motivata e giustificabile la eventuale decisione di arrecare un vulnus al plenum assembleare e quindi di alterare l’equilibrio tra le forze politiche scaturito dal voto popolare (Atti Camera XIII Leg.Doc IV, n. 17-A; Atti Senato, XIV Leg., Doc. IV, n. 1-A)".


Quindi, in un luogo come il Parlamento, i cui componenti dovrebbero essere esempi di integrità, moralità e legalità, si permette invece ai delinquenti di restare impuniti. Vista la loro (non) integrità, il ragionamento dei parlamentari è "oggi tocca a te, domani potrebbe toccare a me". E' chiaro che, in Italia, il potere di negare l'autorizzazione a procedere a giudizio nei confronti di un deputato o senatore non possa essere nelle mani degli stessi parlamentari. Ho specificato "in Italia" perchè, invece, in altri Paesi – come in Germania – questo strumento funziona bene, grazie ai principi etici e morali dei politici. In Italia, invece, è come se si chiedesse ad una banda di ladri di autorizzare l'arresto di uno di loro.
Il potere di cui stiamo parlando dovrebbe essere, piuttosto, nelle mani del Presidente della Repubblica: egli, infatti, ha già poteri ben più grandi (ad es. quello di scioglimento delle camere), non sarebbe sbilanciato a favore di una fazione politica e, non operando collegialmente, sarebbe direttamente responsabile delle decisioni prese. Ora, al contrario, i componenti delle giunte per le autorizzazioni a procedere si nascondono dietro gli scrutini segreti e i voti di gruppo.
In Parlamento le decisioni dovrebbero essere prese nell'interesse del Paese. In Italia sembra invece scontato e normale che esse siano prese nel solo interesse della classe politica.
Grazie a questa filosofia Nicola Di Girolamo, eletto grazie ai voti mafiosi e protetto dai suoi colleghi parlamentari, continua tuttora a prendere decisioni per il Paese intero.

ARTICOLI CORRELATI:
Legislatura 16º - Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari - Resoconto sommario n. 4 del 17/06/2008

Nicola Di Girolamo non si arresta. La Casta si difende

Domanda di autorizzazione all'esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nell'ambito di un procedimento penale pendente nei confronti del senatore Nicola Paolo Di Girolamo (Doc. IV, n. 1)




http://voglioresistere.blogspot.com/2010/02/la-casta-che-protegge-se-stessa.html

Imprenditore ospita i rom nel giardino dell’azienda: «Anch'io ero povero come loro»

La storia . Ha comprato la roulotte e paga le bollette: «Visto che posso, faccio qualcosa»

Tonin, 100 dipendenti, da 1o anni ospita quattro famiglie nomadi affianco al suo capannone: vivevo in una baracca



Il mobiliere Gianni Tonin, imprenditore di San Giorgio in Bosco (Padova), con una delle quattro famiglie rom che ha ospitato all’interno del recinto della sua fabbrica (Gobbi)
SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) - L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in Russia».

Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni ».

E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c'era un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca "abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la prendevamoa valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».

Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale - dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».

Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare. Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare zingaro almeno per una volta, ancora a bordo della sua carovana.



Fonte:
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/25-febbraio-2010/imprenditore-ospita-rom-giardino-dell-azienda-ero-povero-come-loro-1602537774878.shtml

lunedì 18 gennaio 2010

sabato 16 gennaio 2010

"Lasciate Explorer, non è sicuro" Allarme dell'Autorità tedesca



L'uso del browser più diffuso del mondo "sconsigliabile" a causa di una falla nella sicurezza. Preferibile usare browser alternativi finché il problema non sarà risolto

BERLINO - Un allarme sui pericoli dell'uso di internet Explorer è stato lanciato oggi in Germania. Secondo Spiegel online, l'edizione digitale dell'autorevole settimanale di Amburgo, il Bundesamt fuer Sicherheit in der Informationstechnik, BSI, cioè l'Autorità federale per la sicurezza nella tecnologia dell'informazione, ha avvertito che l'uso del browser più diffuso nel mondo è sconsigliabile, ed è preferibile usare browser alternativi, finché il problema non verrà risolto.

C'è un punto debole in internet explorer, avverte la fonte ufficiale tedesca citata da Spiegel online. Sarebbe una 'fallà nella sua sicurezza che "permette di lanciare attacchi e installare programmi ostili in un computer che funziona con Windows, attraverso un codice manipolato di un sito. Le versioni di internet explorer esposte a rischio sono la 6, la 7 e la 8 sui sistemi Windows XP, Vista e 7.

Al momento, continua il reportage di Spiegel online sempre citando l'autorità federale per la sicurezza IT, non è disponibile un'attualizzazione del software. "L'autorità federale prevede che il punto debole, la falla di explorer verrà utilizzata a breve per attacchi su internet", e consiglia quindi l'uso al momento di altri browser. Consiglia sistemi che chiama per nome, come Firefox, Opera, Chrome o Safari. L'uso di internet explorer in modo protetto può rendere gli assalti più difficili, ma non impedirli, nota il monito ufficiale.

L'avvertimento del Bsi è posto in relazione con gli attacchi di hacker condotti negli ultimi giorni contro i sistemi informatici di alcune aziende americane. E probabilmente il pericolo è quello di attacchi mirati contro alcune imprese, non contro l'uso privato di internet explorer. Ma presto la realtà potrebbe cambiare e il pericolo riguarderebbe molti più utenti. Non è la prima volta che internet explorer è oggetto di tentativi di attacco del genere: essendo il browser più diffuso nel mondo è bersaglio privilegiato della 'cybercriminalità'. Microsoft stessa consiglia di usare explorer, almeno per il monento solo in protected mode e con i massimi livelli di sicurezza.

Fonte:
http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/01/15/news/allarme_explorer_germania-1965010/

venerdì 15 gennaio 2010

Facciamo chiudere i gruppi su facebook atti ad offendere gli Haitiani colpiti dal sisma!

Ecco a voi tutti i gruppi atti ad offendere gli abitanti dei Haiti, se siete iscritti al social network noto come Facebook vi chiediamo un minuto della vostra vita per segnalare questi gruppi all'autorità di Facebook affinché possa rimuovere questi gruppi dalla proprietà intellettuale inesistente.

Ecco i links:

http://www.facebook.com/group.php?gid=249901374386&ref=mf

http://www.facebook.com/group.php?gid=263157292360&ref=mf

http://www.facebook.com/group.php?gid=56219812027&ref=mf

http://www.facebook.com/group.php?gid=430380820642&ref=mf

A questo link trovate un'articolo che vale la pena leggere:
http://www.facebook.com/note.php?note_id=278451332081&id=134341586378&ref=mf

L'ipocrisia dei popoli occidentali e "democratici",che si ricordano del terzo mondo solo durante le catastrofi...

Il terribile sisma che ha gravemente colpito lo stato Haitiano e in particolar modo Port Au Prince , la capitale, e che ha fatto circa centomila morti,cifra purtroppo destinata a salire nei prossimi giorni, ci ha scosso tutti e ci ha fatto tornare indietro nemmeno di molti mesi e ci ha fatto sicuramente ricordare il terremoto in Abruzzo.
E ovviamente il mondo occidentale e la sua società civile è rimasta gravemente scossa da questo infausto evento, la cosa che sicuramente la maggior parte di noi ha subito pensato è il perchè un paese già cosi povero e martoriato dalla fame e dalla violenza debba subire questa ingiusta catastrofe naturale; molti altri si saranno sicuramente chiesti se in tutti questo esiste un Dio o qualche entità superiore...
Ma non è di questo che vorrei parlarvi.
In questa breve nota vorrei semplicemente dirvi il mio personale sdegno nei confronti della nostra civiltà occidentale,in particolare quella italiana, che si ricorda del resto del mondo che soffre e lotta per la sopravvivenza con meno di 1$ al giorno soltanto in casi come questi.
Rivolgo soprattutto queste parole ai media italiani e all'informazione nel suo insieme, che in quest'epoca preferiscono mettere in prima pagina "tette e culi" perchè fanno vendere di più o perché aumentano lo share televisivo, insomma, per dirla tutta in una parola io lo chiamo "business della notizia".
E' vergognoso che le civiltà occidentali che , almeno in teoria, dovrebbero essere avanzate non solo dal punto di vista tecnologico ma anche spirituale (con spirituale non intendo religioso dato che a mio avviso la religiosità non ha nulla a che vedere con le religioni) si ricordino delle popolazioni sofferenti solo in casi come quello Haitiano, mi duole il cuore ad accendere la TV e vedere tizi come Sgarbi o altri,cito Sgarbi per esempio, che vengono pagati per "sputtanare" chiunque la pensi diversamente in un qualsiasi dibattito televisivo.
I media ,a partire dalla RAI che noi contribuenti paghiamo, dovrebbe evitare di mandare in onda ridicoli e vergognosi siparietti quali i reality show e talent show che letteralmente rincoglioniscono la gente e la distraggono dai veri problemi del paese, a mio avviso sarebbe preferibile un'informazione vera e seria che non abbia paura di raccontare scomode verità e urtare la sensibilità della popolazione mandando in onda seri approfondimenti culturali e storici ; che vadano a portare la coscienza e la conoscenza nelle case degli italiani e iniziare a smuovere le coscienza assopite della popolazione che attualmente pensa ai saldi di stagione e a come preparasi fin da ora alla famigerata prova costume per l'estate 2010 andando in palestra o in centri benessere per buttare giù i chili di troppo presi durante le festività.
Questa cari amici miei è l'ipocrisia occidentale e italiana.
In questi tempi difficili per l'umanità dobbiamo,in modo semplice ed umile, cercare di cambiare il mondo e cosa ancora più importante dobbiamo farlo tutti insieme con grande spirito di cooperazione e amicizia tra i popoli, altrimenti Mahatma Gandhi,Martin Luther King,Malcom X, Gesù Cristo e tanti altri cosa sono morti a fare?
Tutto questo deve partire da noi semplici cittadini che con gli strumenti della politica e dell'informazione potremo portare avanti i nostri ideali per un mondo più giusto per tutti e per porre fine all'ingiustizia sociale che governa questo mondo , per un mondo di energie rinnovabili e gratuite, per un mondo in cui l'ipocrisia del mondo occidentale (che spreca l'80% delle risorse del pianeta e che tramite i suoi servizi segreti fa scoppiare guerre civili tra i popoli per prendere il controllo delle risorse del luogo e poi si ricorda del terzo mondo quando gli conviene) abbia fine.
Un carissimo saluto a tutti voi.


Di Federico Sciovolone.

mercoledì 13 gennaio 2010

Appello per la pagina "Berlusconi chi è?"


L'amministrazione di Facebook ha appena bloccato la pagina "Berlusconi chi è?" perché a loro avviso sono state violate le condizioni d'uso del social network.
Chi segue la pagina sa che si tratta di una pagina d'informazione, in cui non è presente materiale offensivo e tutte le notizie pubblicate provengono dalla rete.
Abbiamo provveduto a inviare un'email e restiamo in attesa di una risposta, in ogni caso sino a quando la pagina non verrà ripristinata, sarà impossibile pubblicare note, video, foto, ecc.
Chiediamo gentilmete di aiutarci inviando questa breve email all'indirizzo warning@facebook.com dall'indirizzo di posta elettronica con cui siete iscritti su Facebook:

Dear Facebook team, I am a Facebook user and I kindly ask you to re-open the page "Berlusconi chi è?", which has the following URL: http://www.facebook.com/pages/BERLUSCONI-chi-e/76372150336 It is a critic page and has not violated any terms of use. I kindly ask to reactivate this page. Thanks and best regards
FIRMA xxxxx

Grazie da tutto lo staff di "Berlusconi chi è?"

PRECISAZIONE: La pagina è visibile, non è stata oscurata, ma Facebook l'ha bloccata e gli amministratori non possono pubblicare nuovo materiale. E' successo anche a Informazione Libera qualche mese fa. Esprimiamo piena solidarietà a tutto lo staff della pagina e ci auguriamo che la situazione ritorni alla normalità il prima possibile.

martedì 12 gennaio 2010

Letta (Pd): “Taglio tasse Berlusconi? Solo slogan, costerebbe 20-30 miliardi”

Letta (Pd): “Taglio tasse Berlusconi? Solo slogan, costerebbe 20-30 miliardi”

«È Il solito annuncio elettorale», commenta in un'intervista su la Repubblica il vice segretario del Pd secondo il quale la riduzione del prelievo fiscale a due aliquote del 23 e del 33% è «una cosetta, a grandi spanne, da 20-30 miliardi di spesa»

Il Pd non crede alla proposta del premier Silvio Berlusconi di ridurre le tasse nel 2010. «È Il solito annuncio elettorale», commenta in un’intervista su la Repubblica il vice segretario del Pd, Enrico Letta, secondo il quale il taglio delle tasse è «una cosetta, a grandi spanne, da 20-30 miliardi di spesa».

A Letta il premier sembra il dottor Stranamore: «Berlusconi che annuncia un’altra volta “taglierò le tasse” mi ricorda tanto Peter Sellers. Noto la cautela del Tesoro che già rinvia tutto all’anno prossimo. Il che, a maggior ragione, mi puzza di campagna elettorale».

Secondo Letta, si tratta di uno «slogan elettorale» in vista delle elezioni regionali dal momento che Berlusconi «ha avuto 8 anni di tempo per realizzare le promesse e non s’é visto nulla». Diversamente da quanto accade in Francia, «dove il governo ha messo al centro la crisi», secondo il vicesegretario del Pd, «la priorità di Berlusconi rimane la giustizia e sull’economia zero».

La priorità per il Pd, invece, è di «portare dal 23% al 20% l’aliquota per la grande maggioranza dei lavoratori dipendenti».

Quanto alle riforme, il Pd attende le «risposte più urgenti sul Welfare» e si concentra su tre punti chiave: «Riforma degli ammortizzatori sociali, cassa integrazione da estendere anche alle piccole imprese e una no-tax area per dieci anni nel Mezzogiorno».


http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/letta-pd-taglio-tasse-berlusconi-costa-20-30-miliardi-200000/

Prime prove di inciucio telefonico

- di Marco Lillo -


Perché il Pd non si oppone alle mire di Mediaset sulla rete di Telecom

Prove tecniche di inciucio telefonico. A dare il via alle danze è stata un’intervista di Paolo Gentiloni a Il Riformista. L’otto gennaio scorso, l’ex ministro delle comunicazioni, rispondendo alle domande di Gianmaria Pica, ha dato un imprevisto via libera alla possibile alleanza tra Telecom Italia e Mediaset: "Pier Silvio Berlusconi", spiega Gentiloni, "ha parlato di far crescere Mediaset fino a farla diventare un content provider, una sorta di major italiana che fornisce contenuti televisivi. Per fare questo per Mediaset sarebbe strategico il rapporto con Telecom: è il cuore del business della telecomunicazioni".

Così, allegramente, Gentiloni suona la tromba all’avanzata del Cavaliere sull’unico territorio mediatico che gli è ancora ostile: Internet. In un paese nel quale il presidente del consiglio controlla direttamente le tre reti Mediaset e indirettamente le tre reti Rai, mentre Telecom tiene La7 a bagnomaria e l’unico vero concorrente, Sky, viene frenato con l’Iva e i tetti pubblicitari, il politico più autorevole dell’opposizione, l’uomo che dovrebbe rappresentare la diga allo strapotere del premier-editore, applaude l’ingresso di Berlusconi sulla rete Telecom. Chi dovrebbe curare il conflitto di interessi nella tv, sembra favorire la metastasi su Internet.

Occasioni perse. L’intervista a Gentiloni è l’atto finale del lungo harakiri della sinistra sul fronte Telecom. Per comprendere l’ultimo fotogramma di questo film dell’orrore bisogna tornare all’inizio e provare a porsi qualche quesito del tipo: cosa sarebbe successo se...? Perché, se con i se non si fa la storia, magari si comprende meglio la cronaca. La Telecommedia inizia con la privatizzazione e la successiva opa quando Romano Prodi e Massimo D’Alema pensano di individuare in Umberto Agnelli e Roberto Colaninno due interlocutori industriali che invece si riveleranno finanzieri. Carica dei debiti di Colaninno, nel 2001 la compagnia finisce alla Pirelli. Marco Tronchetti Provera dimostra subito di non voler competere con il sistema berlusconiano.

Anzi. Dopo uno strano affare con il gruppo del premier (l’acquisto di Pagine Utili con il versamento di 55 milioni alla Fininvest) Tronchetti soffoca nella culla La7. Annulla i programmi dei big come Fabio Fazio che poteva minacciare Mediaset e paga senza battere ciglio le star per tenerle in panchina. La7 è un’inezia da sacrificare sull’altare del grande gioco telefonico.

Eppure quell’apertura del mercato che non arriverà dai programmi televisivi dell’era Tronchetti poteva arrivare dalle sue strategie internazionali.

Sognando Madrid. Il momento nel quale l’Italia è stata più vicina ad avere un competitor valido per Mediaset non è stato il 25 giugno del 2001 quando debuttò La7 di Fazio, Lerner e Sabina Guzzanti. Ma il 7 settembre del 2006 quando Tronchetti Provera e Rupert Murdoch si incontrano in barca al largo di Zante.

I legali dei due gruppi avevano preparato una bozza di accordo per l’ingresso di Murdoch nella holding di controllo di Telecom con una quota di poco inferiore a quella di Pirelli. In quei giorni Tronchetti spiegava riservatamente ai suoi collaboratori che l’approdo finale non era Zante ma Madrid.
Il sogno di Tronchetti era quello di unire questa Telecom rinforzata da Murdoch con Telefonica o un altro grande operatore per creare una conglomerata in grado di veicolare i contenuti su Internet e il satellite in tutto il mondo. La ricaduta italiana sarebbe stata la nascita di un concorrente in grado di dare filo da torcere a Mediaset e Rai su più piattaforme. Sulla carta le condizioni dell’estate 2006 erano ottimali. Al governo c’era Romano Prodi all’apice della sua forza.

Il centrosinistra potrebbe benedire l’alleanza italo-australiana e invece si mette di traverso. Un mese prima dell’incontro sul Corriere esce il piano del governo per scindere la rete dalla società telefonica, che sarebbe come sfilare il motore dal cofano della macchina il giorno prima della sua vendita a Murdoch. Il 5 settembre, prima dell’incontro greco, il consigliere di Prodi Angelo Rovati consegna a Tronchetti il piano per scindere la rete e affidarla alla Cassa depositi e prestiti.
Il 19 settembre Piero Fassino alla festa di Rifondazione plaude alla separazione della rete. Il messaggio è chiaro: se Murdoch compra, si scordi la rete. Il magnate australiano lascia poco dopo denunciando l’invadenza della politica italiana. A febbraio Tronchetti ci riprova con Telefonica. Ma riparte la campagna su rete e italianità con i politici di sinistra che minacciano di mettere sotto scacco l’acquirente straniero mediante la regolazione e i controlli.
Anche gli spagnoli mollano, salvo rientrare dalla finestra insieme a Benetton e alle banche quando Tronchetti vende.

Evoluzioni. E’ interessante riguardare le posizioni di allora alla luce dello scenario che si sta delineando oggi. La sinistra al governo, per limitare il potere dell’invasore Murdoch, predicava la separazione della rete e la sua annessione alla Cassa depositi e prestiti dello Stato. Tra quelli che sostenevano la separazione allora c’era anche un certo Franco Bernabé.
Oggi il numero uno di Telecom si oppone allo scorporo (come fa tutta la sinistra) mentre allora, nella posizione di consulente della banca Rothschild da dove lavorava insieme a Rovati al piano di scorporo. Al di là delle giravolte dovute ai cambiamenti di ruolo, però, resta la miopia strategica. Per sostenere il falso mito dell’italianità (quando era al governo e avrebbe voluto mettere la rete sotto il suo controllo) la sinistra ha perso una grande occasione.
L’ingresso di Murdoch e Telefonica nella Telecom di Tronchetti avrebbe salvaguardato l’italianità e avrebbe aperto il mercato tv. Sono passati tre anni. La prima azienda di telecomunicazioni italiana ha galleggiato tagliando i costi e gli investimenti.

L’unico prodotto di rilievo, il CuboVision, è per ora poco più di uno spot. Ora pare che Telefonica torni a farsi sotto. Solo che stavolta gli spagnoli vogliono la maggioranza e, per ottenerla, sono disposti a trattare con Mediaset sulla rete e i contenuti. La chiamano italianità.

Da Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio




http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2416164&title=2416164
di Antigone Brambilla -

Venerdì 15 gennaio, presso la terza sezione della Corte d'Appello di Torino, si decideranno le sorti del diritto di satira via web. Sul banco degli imputati il blog "www.ilbolscevicostanco.com", ideato nel 2005 dal giornalista valdostano Roberto Mancini e chiuso alla fine del 2006, dopo aver subìto una condanna per diffamazione decisa dal tribunale di Aosta.
La sentenza ha suscitato forti critiche da parte di tutto il mondo dell'informazione, di "Reporters Sans Frontieres", oltreché del ministro Paolo Gentiloni, all'epoca titolare delle Comunicazioni. Il notissimo Diego Cugia, a nome degli autori Siae, l'ha definita una «grave sentenza che ha sotterrato la libertà di autore».
La sentenza di Aosta, oltre ad essere il primo caso in Europa di condanna di un blogger, presenta aspetti contradditori.

Lo stesso dispositivo di condanna riconosce «il carattere satirico della pubblicazione e il fondo di verità in linea generale ravvisabile in quanto esposto» e parla di «notizie veritiere» postate dal «generale Zhukov», il nickname con cui secondo l'accusa, si firmava Mancini.
Ma secondo il giudice monocratico Eugenio Gramola, che il 26 maggio di quattro anni fa ha condannato Mancini senza accordargli nemmeno le attenuanti generiche malgrado fosse incensurato, «chi gestisce un blog ha le stesse responsabilità di un direttore di giornale».

Un'equiparazione anomala quanto pericolosa tra doveri del blogger e doveri del direttore responsabile, che è costata al giornalista valdostano 13 mila euro tra ammende e risarcimento ai colleghi aostani che lo avevano querelato per diffamazione.

Insomma, per Gramola i blog e i giornali on line sarebbero la stessa cosa. Ma allora perché tutti i blogger italiani non diventano d'ufficio giornalisti professionisti? E perché tutto il resto del mondo, compresi gli Stati Uniti dove nel 2007 è nato il fenomeno, considerano il blog come un diario on line, collettivo o personale, un genere che dunque in nulla attiene ad un giornale?
Il diario del generale Zhukov era un contenitore privilegiato di frammenti di vita quotidiana valdostana, in breve tempo diventato la finestra sul mondo per oltre mille lettori alla settimana, una cifra enorme nella piccola regione (126.000 abitanti).

Quale dunque la sua colpa? Forse la graffiante ironia con cui riusciva a rendere grottesco il personaggio del momento? Ma non è questo che si chiede alla satira?
Il giudice Gramola, nel dispositivo di sentenza, disapprova il tono, il «carattere postribolare del linguaggio».

Ma Riccardo Pifferi, giornalista ed autore teatrale e televisivo, ha scritto in difesa di Mancini su Vivaverdi, mensile Siae:
«sono le parole, le metafore, la discesa nel linguaggio del volgo che costano a Mancini la condanna.
Insomma si condannano gli attrezzi della satira, gli utensili dell'autore».
Il linguaggio di un genere letterario può essere deciso da un giudice penale?

Se la Valle d'Aosta ha condannato un satiro per aver fatto null'altro che buona satira, confidiamo nel fatto che la Corte d'Appello di Torino non incorrerà nella stessa contraddizione.

nuovasocieta.it (R)

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