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giovedì 25 febbraio 2010

Nel fango affonda lo Stivale dei maiali

Ieri le notizie che occupavano lo spazio principale sui quotidiani online erano le parole di Montezemolo: “La lotta alla corruzione è un’impresa titanica che occuperà quanto meno lo spazio di una generazione” e i risultati del sondaggio di Repubblica sui falsi invalidi che si mangiano un miliardo di euro all’anno: ciechi che parcheggiano o che leggono il giornale, sindaci che promettono pensioni di invalidità in cambio di voti e via dicendo. Se poi aggiungiamo i dati della Corte dei Conti che ha stimato il danno della corruzione in 60 miliardi di euro all’anno e quello dell’evasione fiscale in 100 miliardi di euro, l’immagine del paese è abbastanza nitida.

Per quanto i nostri politici mangino e si ingrassino con i soldi pubblici dello stato, certamente la colpa del malcostume italiano non è da addossare tutta a loro. I numeri parlano chiaro ed il significato non è poi tanto nascosto: il genio italico ha sviluppato una particolare sensibilità per tutto ciò che profuma di illegalità. La regola alla base del rapporto tra stato e cittadino sembra essersi trasformata in un quesito che il cittadino rivolge allo stato: “come faccio a fotterti?”. Le risposte hanno una forte originalità, le migliori portano come risultato i più grossi scandali. Ultimo in ordine cronologico “la colossale truffa allo stato” nella quale sono coinvolti Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb e il senatore Nicola di Girolamo (PdL): per entrambi è stato emesso l’ordine di arresto.


Vignetta a cura di http://vadelfio.splinder.com/
Detto questo, c’è da sottolineare il fatto che in Italia esistono anche persone integerrime, che dedicano la propria vita alla legalità e lavorano affinché questo paese possa diventare migliore dal punto di vista civile e politico. Il fatto è che queste poche persone sono sopraffatte, sia nel numero che nella forza, da chi preferisce sguazzare nel lerciume della corruzione.

Una classe politica pulita, civile e non corrotta sarebbe un buon inizio nonostante c’è chi sostenga che per far politica ci si deve sporcare la mani. Sfortunatamente però i politici di oggi, dopo essersi sporcati le mani e aver provato un particolare piacere, non hanno problemi a rotolarsi nel fango. Quanta somiglianza con i maiali! Quindi se da un lato dobbiamo continuare a pretendere una classe politica migliore di quella attuale (la scienza sta indaganzo se esista qualcosa peggiore), dall’altro dobbiamo capire che, visto il bacino dal quale vengono attinti i politici, la speranza di un miglioramento si riduce ad un lumicino.

Bisogna essere coscienti del fatto che la classe politica attuale rappresenta la maggioranza degli italiani, che non mangiano tanto quanto quelli che governano ma che lo farebbero se fossero al loro posto. Ragionando in questo modo bisogna chiedersi se la democrazia sia la forma di governo più appropriata per un paese fatto di cittadini irresponsabili e parassiti che vivono rubando il futuro a quei pochi che sono la parte migliore ma purtroppo nascosta. La democrazia, affinché possa funzionare, richiede un popolo civile, informato, dedito alla legalità e con un profondo senso dello stato: qualità che sembrano sconosciute a moltissimi italiani se si guarda ai fatti anzichè alla propaganda.

La soluzione al problema è un processo di ri-civilizzazione che richiede tempo e il cui risultato probabilmente nemmeno lo vedremo ma senza di questo lo Stivale dei maiali non potrà che continuare ad affondare nel fango senza la speranza di uscirne più ma con la certezza di morire affogato.

fonte wilditaly.net

La casta che protegge se stessa

Il caso del senatore Nicola Di Girolamo, accusato di essere coinvolto nello scandalo Fastweb, di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al reimpiego di capitali illeciti, nonché di violazione della legge elettorale con l'aggravante mafiosa, ha riportato in luce il vecchio problema della casta che protegge se stessa.
Già nel giugno 2008, infatti, un giudice aveva chiesto l'autorizzazione al Senato per mettere Di Girolamo agli arresti domiciliari. Autorizzazione prontamente respinta dal Senato. A quel tempo l'accusa era "solo" di violazione della legge elettorale: il senatore è stato eletto nella circoscrizione estero pur non vivendo all'estero, grazie alla falsificazione di documenti e alla collaborazione di un funzionario "amico" nel Consolato di Bruxelles.
La giunta del Senato che presiedette l'analisi del caso decise quasi all'unanimità di respingere la richiesta del giudice: solo un senatore dell'IDV votò a favore. Secondo la giunta, infatti, il reato non sarebbe stato abbastanza grave da giustificare il venir meno dell'integrità dell'organo parlamentare:

"Qualora la Giunta ritenesse di escludere la sussistenza di qualsiasi intento persecutorio in danno del parlamentare, l’ulteriore parametro di valutazione è rappresentato dall’esigenza di garantire l’integrità dell’organo parlamentare, esigenza che costituisce il fine prevalente della garanzia costituzionale contemplata dall’articolo 68 della Costituzione. Tale finalità, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale di Camera e di Senato, può essere pretermessa solo in presenza di casi particolarmente gravi, in cui la natura del reato, la pericolosità del soggetto, l’indispensabilità assoluta della privazione della libertà personale del parlamentare ai fini del corretto progredire del procedimento penale, siano tali da soverchiare l’altra esigenza (Atti Senato, XIII Leg., Doc. IV, n. 4-A). Pertanto, solo la straordinaria gravità del reato e la eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari potrebbero rendere motivata e giustificabile la eventuale decisione di arrecare un vulnus al plenum assembleare e quindi di alterare l’equilibrio tra le forze politiche scaturito dal voto popolare (Atti Camera XIII Leg.Doc IV, n. 17-A; Atti Senato, XIV Leg., Doc. IV, n. 1-A)".


Quindi, in un luogo come il Parlamento, i cui componenti dovrebbero essere esempi di integrità, moralità e legalità, si permette invece ai delinquenti di restare impuniti. Vista la loro (non) integrità, il ragionamento dei parlamentari è "oggi tocca a te, domani potrebbe toccare a me". E' chiaro che, in Italia, il potere di negare l'autorizzazione a procedere a giudizio nei confronti di un deputato o senatore non possa essere nelle mani degli stessi parlamentari. Ho specificato "in Italia" perchè, invece, in altri Paesi – come in Germania – questo strumento funziona bene, grazie ai principi etici e morali dei politici. In Italia, invece, è come se si chiedesse ad una banda di ladri di autorizzare l'arresto di uno di loro.
Il potere di cui stiamo parlando dovrebbe essere, piuttosto, nelle mani del Presidente della Repubblica: egli, infatti, ha già poteri ben più grandi (ad es. quello di scioglimento delle camere), non sarebbe sbilanciato a favore di una fazione politica e, non operando collegialmente, sarebbe direttamente responsabile delle decisioni prese. Ora, al contrario, i componenti delle giunte per le autorizzazioni a procedere si nascondono dietro gli scrutini segreti e i voti di gruppo.
In Parlamento le decisioni dovrebbero essere prese nell'interesse del Paese. In Italia sembra invece scontato e normale che esse siano prese nel solo interesse della classe politica.
Grazie a questa filosofia Nicola Di Girolamo, eletto grazie ai voti mafiosi e protetto dai suoi colleghi parlamentari, continua tuttora a prendere decisioni per il Paese intero.

ARTICOLI CORRELATI:
Legislatura 16º - Giunta delle elezioni e delle immunita' parlamentari - Resoconto sommario n. 4 del 17/06/2008

Nicola Di Girolamo non si arresta. La Casta si difende

Domanda di autorizzazione all'esecuzione dell'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nell'ambito di un procedimento penale pendente nei confronti del senatore Nicola Paolo Di Girolamo (Doc. IV, n. 1)




http://voglioresistere.blogspot.com/2010/02/la-casta-che-protegge-se-stessa.html

Imprenditore ospita i rom nel giardino dell’azienda: «Anch'io ero povero come loro»

La storia . Ha comprato la roulotte e paga le bollette: «Visto che posso, faccio qualcosa»

Tonin, 100 dipendenti, da 1o anni ospita quattro famiglie nomadi affianco al suo capannone: vivevo in una baracca



Il mobiliere Gianni Tonin, imprenditore di San Giorgio in Bosco (Padova), con una delle quattro famiglie rom che ha ospitato all’interno del recinto della sua fabbrica (Gobbi)
SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) - L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in Russia».

Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni ».

E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c'era un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca "abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la prendevamoa valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».

Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale - dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».

Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare. Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare zingaro almeno per una volta, ancora a bordo della sua carovana.



Fonte:
http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2010/25-febbraio-2010/imprenditore-ospita-rom-giardino-dell-azienda-ero-povero-come-loro-1602537774878.shtml

lunedì 18 gennaio 2010

sabato 16 gennaio 2010

"Lasciate Explorer, non è sicuro" Allarme dell'Autorità tedesca



L'uso del browser più diffuso del mondo "sconsigliabile" a causa di una falla nella sicurezza. Preferibile usare browser alternativi finché il problema non sarà risolto

BERLINO - Un allarme sui pericoli dell'uso di internet Explorer è stato lanciato oggi in Germania. Secondo Spiegel online, l'edizione digitale dell'autorevole settimanale di Amburgo, il Bundesamt fuer Sicherheit in der Informationstechnik, BSI, cioè l'Autorità federale per la sicurezza nella tecnologia dell'informazione, ha avvertito che l'uso del browser più diffuso nel mondo è sconsigliabile, ed è preferibile usare browser alternativi, finché il problema non verrà risolto.

C'è un punto debole in internet explorer, avverte la fonte ufficiale tedesca citata da Spiegel online. Sarebbe una 'fallà nella sua sicurezza che "permette di lanciare attacchi e installare programmi ostili in un computer che funziona con Windows, attraverso un codice manipolato di un sito. Le versioni di internet explorer esposte a rischio sono la 6, la 7 e la 8 sui sistemi Windows XP, Vista e 7.

Al momento, continua il reportage di Spiegel online sempre citando l'autorità federale per la sicurezza IT, non è disponibile un'attualizzazione del software. "L'autorità federale prevede che il punto debole, la falla di explorer verrà utilizzata a breve per attacchi su internet", e consiglia quindi l'uso al momento di altri browser. Consiglia sistemi che chiama per nome, come Firefox, Opera, Chrome o Safari. L'uso di internet explorer in modo protetto può rendere gli assalti più difficili, ma non impedirli, nota il monito ufficiale.

L'avvertimento del Bsi è posto in relazione con gli attacchi di hacker condotti negli ultimi giorni contro i sistemi informatici di alcune aziende americane. E probabilmente il pericolo è quello di attacchi mirati contro alcune imprese, non contro l'uso privato di internet explorer. Ma presto la realtà potrebbe cambiare e il pericolo riguarderebbe molti più utenti. Non è la prima volta che internet explorer è oggetto di tentativi di attacco del genere: essendo il browser più diffuso nel mondo è bersaglio privilegiato della 'cybercriminalità'. Microsoft stessa consiglia di usare explorer, almeno per il monento solo in protected mode e con i massimi livelli di sicurezza.

Fonte:
http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/01/15/news/allarme_explorer_germania-1965010/

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Federico Aldrovandi